domenica 24 luglio 2011

Perchè io valgo!

Bloccata da uno schifosissimo esame universitario, in questi giorni mi sono passati per la mente centinaia di post che non ho avuto il tempo di scrivere. Ovviamente, ora che il tempo abbonda la mia mente li ha cancellati tutti.
Intanto, per sfogare il mio bisogno di scrivere, ho invaso il blog di Fiammetta con un numero di commenti tale da meritare la denuncia per stalking. Non posso farci niente, è più forte di me! Lei domanda (e solleva questioni davvero interessantissime) ed io mi sento in dovere di risponderle. Proprio nei commenti ad un suo messaggio è emersa una fondamentale differenza tra il modo di vivere italiano e quello svedese. Non ricordo come è saltato fuori, ma tante persone emigrate in Svezia si lamentano del concetto di "uguaglianza" applicato alla cultura. Insomma, non si può essere "uguali" su certe cose. C'è chi apprende prima, chi ci mette più tempo, chi è più portato per le materie scientifiche e chi, come me, impara le lingue al ritmo di una ogni due anni, ma va in tilt davanti alla tabellina del tre. Il sistema svedese, da quel che ho capito, punta a far arrivare la classe ad un certo traguardo; se qualcuno è più lento, saranno quelli bravi a doversi adeguare. La cosa, sempre da quel che raccontano le persone sui blog, sembra estendersi anche al mondo universitario: più di una volta mi è capitato di leggere i messaggi di una ragazza (che, credo, sia sempre la stessa) criticata dai professori universitari perchè ha acquisito più crediti di quanti richiesti dal programma di studio.
Io, ovviamente, posso basarmi solo su quello che leggo in giro, non avendo alcuna esperienza diretta del modo di vivere svedese. Però il tono di certi messaggi mi fa riflettere anche sul mio modo di vivere. Prima di esporvi il mio punto di vista, premetto che sono stata una bambina prodigio. Questo per bloccare sul nascere i commenti di certi troll, che potrebbero accusarmi di essere invidiosa di quelli bravi, un po' come capita alle blogger che denunciano modelle che incitano all'anoressia e vengono etichettate come racchie invidiose.
Io ero bravissima. Quando ho iniziato le elementari, con un anno di anticipo (all'epoca si chiamava primina, ora non so), già sapevo leggere, scrivere e far di conto. All'asilo, le suore si disperavano perchè io rifiutavo caparbiamente ogni tipo di gioco, troppo impegnata a leggere tutti i libri a mia disposizione. Tra un libro e l'altro, miglioravo la grafia, perchè le a e le o non perfettamente rotonde mi facevano saltare i nervi. A cinque anni ho fatto amicizia con le principali leggi della fisica, a dieci ho iniziato a studiare chimica, a tredici parlavo correntemente inglese, a quindici ho deciso di aggiungere il francese, a diciotto, per complicarmi la vita, ho scelto il russo - e già mi immagino la faccia di qualcuno che urlerà KOMUNISTA (con la k perchè loro non si sono presi il disturbo di imparare nemmeno la lingua madre). Quindi posso garantirvi che non parlo spinta dall'invidia. 
Passare gli anni dell'asilo immersa in qualche libro non ha certo favorito la mia vita sociale. Non ho ricordi di giochi, nè di amici, nè di giochi fatti con gli amici. Ero sola, sempre e comunque. Se qualche bambino mi invitava a casa sua andavo in tilt. Sapevo come studiare, sapevo come compiacere gli adulti, ma non avevo alcuna idea su come comportarmi in presenza di miei coetanei. E certe cose non possono essere insegnate dalle maestre, nè si possono trovare sui libri. Soprattutto, se non si impara da bambini, non si impara più.
Ricordo bene che odiavo Pippi Calzelunghe: lei doveva studiare, doveva fare la brava, doveva comportarsi come una bambina civile. Che razza di mostro era quella bimba che faceva ciò che voleva, che non imparava, che addirittura rispondeva male alla maestra! Io, invece, ero la gioia di tutta la famiglia: ero educata, brava, sempre pronta ad esibirmi davanti ad amici, parenti e vicini di casa.
Forse mi illudo, ma penso che, se fossi nata il Svezia, la maestra mi avrebbe strappato i libri dalle mani e mi avrebbe costretta a giocare come tutti gli altri bambini. Lì è una colpa ciò che qui è un pregio: imparare più degli altri. Capisco che un genitore si senta orgoglioso dei progressi del figlio, ma forse bisognerebbe chiedersi qual è il prezzo di certi "vantaggi". Molte persone si preoccupano perchè, un giorno, il loro intelligentissimo bambino potrebbe venir bloccato da un mezzo idiota che proprio non riesce ad imparare. E allora? Siete davvero certi che memorizzare le tabelline renda vostro figlio più felice degli altri? Questo è un discorso che può essere applicato anche all'università. Imparare di più vi rende felici? Dare un numero maggiore di esami rispetto alla media, seguire più corsi, approfondire le materie studiate rende felici? Forse dà l'illusione di essere migliore degli altri, ma è davvero questo che importa, nella vita? Sentirsi -non essere- migliori degli altri vuol dire vivere sempre in competizione con qualcuno, dover dimostrare continuamente la propria superiorità, prendere ogni impegno quotidiano come una sfida, essere sempre sotto stress, sempre alla prova, sempre tesi come corde di violino. E mai, mai soddisfatti di sè.
Da quando ho ricominciato a studiare, colleziono voti dal 27 in su (tra l'altro, quel 27 in chimica proprio non se ne scende. Bastarda di un'assistente!). Eppure ho accettato un 18 in biologia cellulare. L'ho accettato perchè l'abbiamo superato in 8 su 110: tre 18, tre 19 un 20 e un 21. Rispetto agli altri, sono andata bene. Rispetto alle 102 persone bocciate, il mio 18 era migliore, quindi era accettabile; ma un 18 rimane sempre un 18, e comunque influisce negativamente sulla media. Sul mio libretto non ci sarà scritto "18, ma migliore degli altri", però mi basta sapere di aver raggiunto un risultato superiore alla media. Che senso ha tutto ciò? Quale perverso meccanismo mentale mi spinge a sentirmi bene se gli altri vengono bocciati, mentre mi porta a vergognarmi di me se i miei colleghi ottengono un risultato migliore?
Aspettare che tutti i bambini raggiungano lo stesso livello forse non permetterà a qualcuno di loro di diventare un futuro premio nobel (cazzata colossale, ma prendiamo per buone le paure di certi genitori), ma aiuterà tutti loro a sentirsi uguali e a considerare i propri limiti come normali e non come disabilità mentali. Dire ad un bambino "non capisci? Va bene, non fa nulla, riproviamoci insieme" equivale a dirgli "tu non sei diverso, non sei inferiore, hai solo bisogno di riflettere di più su questo argomento"; allo stesso tempo, però, si invia un chiaro messaggio anche ai bambini che fanno della loro bravura un'arma per affrontare il mondo: tu non sei umanamente migliore degli altri. Impari più in fretta, sei più veloce nel fare i conti, leggi meglio, ma questo non ti rende speciale. Ci saranno cose che non capirai, materie in cui andrai male, e allora sarai tu ad aver bisogno di aiuto. E l'aiuto ti verrà dato, i tuoi compagni rispetteranno i tuoi tempi ed i tuoi limiti, perchè tu sei uguale a loro e, come loro, hai diritto ad avere dei dubbi, hai il diritto di sbagliare, e non per questo devi sentirti inferiore a qualcuno.
Un bambino, durante i 5 anni delle elementari, deve imparare a leggere, a scrivere, a svolgere le quattro operazioni fondamentali e ad avere un vago concetto di cosa siano la storia e la geografia; tutte cose per le quali basta pochissimo tempo. Tutto il resto della sua vita scolastica deve essere incentrato sui rapporti con i compagni e sulla crescita della sua personalità. Il ruolo della scuola deve essere questo. Non importa quante nozioni riescano a memorizzare i bambini, se poi non riescono a giocare serenamente tra di loro.
Infine, una piccola considerazione rivolta a certe mamme che temono che la genialità del loro piccolo bimbo prefetto possa essere gravemente ed irreversibilmente danneggiata dalla presenza, nella stessa aula, di alcuni idioti senza speranza. Sappiate, care signore, che Einstain ha iniziato a parlare a tre anni e, da piccolo, era proprio uno di quegli stessi idioti senza speranza.

6 commenti:

  1. Innanzitutto devo riportare questo:

    " e già mi immagino la faccia di qualcuno che urlerà KOMUNISTA (con la k perchè loro non si sono presi il disturbo di imparare nemmeno la lingua madre)."

    Tutto ciò mi provoca attacchi di rise isteriche ahahahahahha.
    A parte questo concordo in pieno su tutto ciò che dici, non ci si può aspettare che ogni bambino messo alla pari degli altri diventerà un futuro premio Nobel come non ci si può aspettare che chiunque frequenti duecentomila corsi all'università prendendo 30 ad ogni materia pure a quelle che non gli servono diventi il genio dell'Universo intero.
    Io personalmente ricordo che non capivo. Non qualcosa in particolare, non capivo tutto ciò che mi dicevano. Da grande ho sempre pensato che forse dovevo avere qualche disturbo dell'attenzione, tutto ciò che mi dicevano veniva travisato nella mia fantasia. Ora mi sento una deficiente totale a dirlo ma se ad esempio la maestra mi diceva: ti do botte (non so se sia un'espressione tipicamente dialettale, ma in pratica significa: suonarle di santa ragione) Nella mia testa quel "botte" si trasformava e diventava la botte del vino. Ok sembra una cazzata, me lo dico da sola, ma così non è: credo di aver avuto davvero grosse difficoltà di apprendimento. Quando non riuscivo a leggere una parola avevo paura perché i grandi non si mettevano accanto a me a dirmi: "facciamo quest'esercizio insieme". Non sapevi leggere? Bene: giù di schiaffi e calci. Quando la maestra di matematica delle elementari mi chiamava alla lavagna, se non sapevo le tabelline, la sua risposta non era un "male" (che nella classifica dei voti di allora corrispondeva al 2) sul registro, ma erano schiaffoni che volavano. Ricordare tutto mi fa male e i genitori lo sapevano dei metodi di queste maestre e nessuno ha mai fatto nulla da noi, anzi le incoraggiavano pure, tanto che non ho mai imparato nulla da loro, tutt'oggi non le so le tabelline e se qualcuno mi dovesse interrogare chiamandomi alla lavagna mi tremerebbero le gambe com'è sempre stato alle medie e al liceo tanto che la mia prof di liceo mi diceva in continuazione: "ma perché tremi e non parli? Forse è meglio che vai a posto..." Insomma non ho mai avuto tutti questi voti brillanti, però poi da sola a casa, nel segreto della mia stanza, divoravo libri, libri e libri, andavo a casa di alcune signore che ne avevano da buttare e tornavo con scatoloni pieni e leggevo, leggevo, tutto ciò che so buona parte l'ho imparato da me. Sono stra bravissima nelle lingue (non mi vanto ma è così), nella letteratura, nella storia dell'arte, nella storia in generale. Ho molta più cultura di chiunque si sia mai vantato di voti geniali dell'Università, ma giust'appunto perché il sapere mi ha resa libera sul serio, il sapere, il saper fare da me e soprattutto la curiosità. Su questo sono stata geniale. Ma, ripeto, non mi vanto, ne voglio fare la saccente come mi sento esclamare da qualche persona che pensa che io sia una sorta di saccente del cazzo e basta. Invece no U_U a me piace semplicemente conoscere le cose e la mia natura curiosa mi ha sempre portata a nuovi lidi e a nuove scoperte. E' la curiosità che mi ha salvata. Se mai avessi un figlio gli direi: "prima di pensare a giocare o a studiare, sii curioso, cerca di chiederti il perché di ogni cosa, cerca di scavare nel profondo del profondo e allora potrai dire di essere un pochino più in alto di chiunque ;)"
    Tu lo sei Paola e non ti preoccupare poi così tanto dei pensieri negativi degli altri, come non ti preoccupare poi tanto dei blogger che scrivono tali fesserie (credo che lo facciano più che altro per attirare viewers) e poi appunto la gente non è contenta se non giudica.
    Scusa se mi sono dilungata al solito ma qualcosa dovevo scrivere assolutamente =)

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  2. Paola, dì la verità: seisoloinvidiosa!
    Scusa, non ho potuto farne a meno!!! ahahahah!!!
    Ti lascio un commento rapido che sono al lavoro: concordo quasi su tutto, e in particolare sul fatto che la scuola deve essere insegnamento di vita, di rapporti, del mondo insomma, non (solo) di nozioni. Non ero forse una bambina prodigio come te, ma andavo benissimo a scuola, ero la cocca delle maestre e del parentado tutto, ma non parlavo con gli altri bambini, non sapevo giocare, sarò stata a cinque feste in tutte le scuole. Tuttora i bambini e i ragazzini mi mettono a disagio: ho saltato a piedi pari quella fase della mia formazione, e non riesco a recuperare, non so come prenderli, non li capisco insomma.
    Sì, avrei preferito che non mi mettessero su un piedistallo, avrei preferito che mi dicessero "fila a giocare", e che dessero in generale uguale importanza ai libri e al resto del mondo!
    Ci sentiamo presto :)


    PS: il quasi d'accordo è perchè, secondo me, chi ha realmente del potenziale in più va comunque assecondato e incoraggiato, a casa come a scuola, non puoi dire a un ragazzino (o a uno studente universitario) che voglia sapere e conoscere di più "no, tu ti fermi qui perchè così è scritto", lo trovo sbagliato e pericoloso. Va solo messo tutto nella giusta prospettiva: studiare, imparare, sapere è bello, importante, può farti diventare una persona migliore, ma è uno degli elementi che ti compongono come persona, e non vale più degli altri, come un pezzo di un puzzle!

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  3. Ma no che non ti denuncio per stalking! Mi fa solo piacere sapere che quello che scrivo ti interessa e che quando non sei d'accordo con me pensi che valga la pena di dirmelo.
    Riguardo a quella ragazza che sostiene di essere stata punita perché aveva studiato oltre i crediti, sarebbe giusto sentire anche la versione del professore. Può darsi anche che in realtà non conoscesse bene il programma obbligatorio o semplicemente che stesse antipatica al docente. Io non conosco il mondo universitario svedese, per cui è possibile che sia vero, ma bisognerebbe sentire le due campane.
    Per quanto riguarda la scuola come elemento socializzante, secondo dovrebbe bastare il fatto di stare insieme molte ore nello stesso posto e di studiare le stesse cose. Naturalmente l'intervallo è fondamentale per fare amicizia, ma se un bambino non socializza puó dipendere dall'indole, dall'educazione familiare. Io credo che il ruolo degli insegnanti non sia tanto quello di aiutare i bambini a socializzare, ma essere delle figura di adulto positive nella vita dei piccoli.

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  4. Francesca, la tua esperienza dimostra praticamente che chi vuole imparare lo fa, indipendentemente dall'atteggiamento delle maestre. La differenza, però, sta nel fatto che un bambino sereno diventa un adulto felice, mentre un bambino "torturato" dagli educatori si porterà dietro un bagaglio di sofferenza che condizionerà tutta la sua vita. E nessun titolo di studio nè posto di lavoro strapagato vale tanto dolore.

    Silvia, che piacere risentirti! In questi giorni ho pensato spesso a te, ma dopo tanto tempo in silenzio mi vergognavo di scriverti. Scusami se sono sparita. Come avrai letto, ho avuto problemi di salute, non gravi, ma che mi hanno completamente scombussolata.
    Sono assolutamente d'accordo con te per quanto riguarda l'incoraggiare gli studenti più promettenti, ma questo non significa metterli in competizione con gli altri. Il sapere, che è una cosa indispensabile nella vita di ognuno di noi, può essere acquisito in modi e tempi diversi. L'intelligenza, che è una dote innata, deve essere considerata come un mezzo in più. Io non mi sento migliore di un disabile perchè riesco, ad esempio, a camminare; tuttavia ho un mezzo in più per affrontare la vita e sarebbe criminale, avendone la possibilità, rimanere seduta su una sedia invece di correre ad esplorare il mondo.
    Un conto è essere interessati ad una materia -nel qual caso la si studia con piacere, la si approfondisce, la si sceglie come indirizzo di laurea, ecc.-, un altro è voler eccellere -cosa che ci porta a sentirci in diritto di urlare al mondo la nostra superiorità, impegnandoci in tutte le materie senza un reale interesse per nessuna di esse, al solo scopo di umiliare gli altri. E' come andare dal disabile e prendersi gioco di lui perchè la sua sedia a rotelle è più lenta delle nostre gambe. Sarebbe una cattiveria enorme, non pensi? Allora perchè dovremmo sentirci in diritto di umiliare chi è più lento in certe materie? L'intelligenza è come un arto in più; dal momento che ne esistono vari tipi, alcuni studenti possono eccellere in alcune materie e non in altre, ma non troverai mai lo studente "perfetto". E' come se ad ognuno di loro mancasse un pezzo; chiunque ha il suo tallone d'Achille e non entrare in competizione vuol dire accettare i propri limiti e vivere più serenamente con sè stessi, invece di sentirsi come disabili che assistono alla corsa dei loro compagni senza poter partecipare.
    Comunque sì, sono invidiosissima! In realtà ho mentito spudoratamente e a scuola ho passato più giorni dietro la lavagna che seduta al banco. Ed era una lavagna a muro. :D

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  5. Fiammetta, te lo dico per esperienza: stare molte ore nella stessa stanza non porta affatto a socializzare. Io sono assolutamente convinta che la capacità di un bambino di porsi nel modo corretto nei confronti dei coetanei dipenda dall'esempio e dagli insegnamenti degli adulti. Certo, anche i genitori hanno un'enorme responsabilità, ma è a scuola che si imparano determinate dinamiche sociali. Per farti un esempio stupido, un bambino può essere portato per carattere a condividere i giocattoli, ma i modi ed i tempi devono essere controllati da un adulto, altrimenti il bambino "generoso" diventerà un bambino "scemo", e tutti i suoi coetanei si sentiranno in diritto di rubargli i giochi. Quindi è a scuola che il bambino dovrà imparare a farsi rispettare, a pretendere la giusta considerazione, a capire la differenza tra condividere, donare o farsi rubare qualcosa. All'esterno, per quanto la famiglia possa influire, non sarà mai circondato da suoi coetanei, tra pari, quindi la meccanica di certe azioni cambierà.
    La storia della ragazza la prendo anch'io con le pinze, ma la riporto per dovere di cronaca. Comunque, anche se fosse vera, sono d'accordo con i prof: se il corso di studi prevede un determinato numero di crediti, vuol dire che è stato progettato per permettere allo studente di avere una vita oltre l'università (cosa che non si può dire della facoltà che ho scelto io, invece!). Se lei ci tiene tanto ad approfondire le materie che studia, può farlo per i fatti suoi, senza andare a sbandierare in giro il numero di crediti. Credo che i professori volessero criticare la superbia; d'altra parte, se una straniera venisse in Italia a dirmi "sai, il tuo sistema universitario fa proprio pena. Io ho fatto tutti gli esami del mio corso e in più un altro miliardo di cose strafighissime che voi poveri idioti siete troppo stupidi per comprendere" starebbe un tantino sulle palle anche a me.
    Comunque mi piacerebbe riuscire a contattare questa ragazza, perchè mi sembra davvero brutto parlare di lei senza che ne sia informata. Nel bene o nel male, anche se è soltanto una campana, vorrei che potesse esprimere liberamente il suo punto di vista (anche mandandomi a... visto quello che ho appena scritto di lei).
    Paola

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  6. << Francesca, la tua esperienza dimostra praticamente che chi vuole imparare lo fa, indipendentemente dall'atteggiamento delle maestre. La differenza, però, sta nel fatto che un bambino sereno diventa un adulto felice, mentre un bambino "torturato" dagli educatori si porterà dietro un bagaglio di sofferenza che condizionerà tutta la sua vita. E nessun titolo di studio nè posto di lavoro strapagato vale tanto dolore.>>

    Non so come si mette il "quote" però si, sono d'accordo ed infatti parlo per esperienza diretta... è proprio così, ricordare a distanza di tanti anni non ha mai fatto cessare il dolore anche se qualcuna di queste maestre è morta (perché quando ero piccola io loro erano già anziane) Ma sinceramente non importa se siano tutte morte o meno, questo non ripaga di certo tutte le mie lacune e soprattutto questo non ripaga di certo appunto il dolore!

    Ps: Sono stata ad uno show a Palmi ieri, il primo che mi dice che gli svedesi sono freddi lo prendo a calci U_U poi ti racconterò Paola :D ahahahahah, baci!

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