Siccome non mi sembra il caso di raccontare dei problemi di salute del mio fidanzato sul blog di un'altra ragazza, ho pensato di farne un post a parte qui. Perché
privacy, in questa famiglia, è una strana parola senza molto senso.
Senza entrare troppo nei dettagli, vi basti sapere che il mio fidanzato ha avuto problemi di salute prima della partenza. Allarmata all'idea che potesse succedere anche in Svezia, ho contattato prima
Fiammetta e poi
Giulia e Marco per avere informazioni precise e dettagliate sulle procedure da seguire per un eventuale ricovero e sono partita, già pronta al peggio, con una traduzione in inglese e in svedese di tutte le malattie che abbiamo, delle cure che facciamo, e dei problemi e delle complicazioni che possono sorgere. Speravo davvero di non averne bisogno, soprattutto perché non ho letto molte opinioni positive sulla sanità svedese e sulle capacità dei medici del regno. E,
ovviamente, facevo male a dubitare!
Prima della partenza, altrettanto ovviamente, il mio fidanzato era passato per l'ospedale per ricevere tutte le cure del caso e poter trascorrere una vacanza serena. In Italia l'avevano già curato, dunque; ma saranno state le giornate stancanti, il drastico cambio di temperature, la pioggia battente che proprio quel giorno ci si è gelata addosso, e il problema si è ripresentato. Di notte, tra l'altro.
All'1.30 il mio ragazzo mi ha svegliata per chiedermi una medicina per il dolore. Gli ho detto che, sapendo come sarebbe andata a finire, avremmo fatto prima a chiamare direttamente l'ambulanza, ma non ha voluto sentire ragioni.
Alle 3.30 il dolore ha avuto la meglio e il mio ragazzo mi ha implorata di chiamare l'ambulanza. Come volevasi dimostrare, io ho
sempre ragione. Avesse ascoltato prima i miei saggi consigli, si sarebbe risparmiato due ore di sofferenza. Abbiamo chiesto aiuto alla gentilissima signora svedese che ci ha affittato la stanza, la quale è stata più che disponibile. Non ho nemmeno fatto in tempo a spiegarle che cosa stava succedendo che lei era già a telefono con il 112.
Alle 3.40 la nostra ospite ha ritelefonato al 112, protestando perché l'ambulanza non era ancora arrivata. Giusto per dire, quando abbiamo chiamato l'ambulanza in Italia perché mio nonno stava morendo, ci hanno risposto che non sarebbero mai arrivati in tempo e che avremmo fatto prima ad accompagnarlo in macchina. Giusto per dire, eh! L'ambulanza svedese, in realtà, era già arrivata, ma il palazzo era all'interno di un parco e l'autista aveva problemi ad entrare. Comunque, abbiamo avuto appena il tempo di uscire dal palazzo per andargli incontro che ci siamo ritrovati l'ambulanza davanti. Durante il tragitto verso l'ospedale, l'autista mi ha fatto qualche domanda e ha inserito i dati su un piccolo computer, suppongo per inviarli direttamente in ospedale e fare in modo che trovassimo già tutto pronto. Sia lui che il portantino hanno cercato di alleggerire un po' l'atmosfera, infilando domande importanti, come "gli è già capitato? Cosa fanno in Italia in questi casi? Quali medicine usa? Cosa ha scatenato il problema?", in discorsi sul clima italiano e svedese e sulla nostra vacanza. Magari a qualcuno avrebbe potuto dare fastidio, ma io ho apprezzato il tentativo: in qualche modo (molto svedese) dimostravano di capire la nostra angoscia e cercavano di farci stare meglio. Gli ho anche confidato di aver letto cose preoccupanti sul pronto soccorso svedese, tipo che devi stare proprio male per ricevere le dovute attenzioni. L'autista mi ha chiesto se le cose in Italia funzionano così e se sono questi gli standard a cui siamo abituati, perché lui passa le notti a soccorrere gente per qualsiasi cazzata. Certo, magari
cazzata non è proprio la parola che ha utilizzato, ma il concetto era
esattamente quello.
Alle 4.00 siamo arrivati in ospedale. Ad aspettarci c'erano tre infermieri e una specie di interprete che rispondeva alle mie domande, poste in inglese, con un disperato tentativo d'italiano. Ma dico io, se sto parlando in inglese, se ho già dimostrato di capire l'inglese e se il foglio che sto sventolando è scritto sia in svedese che in inglese, perché diamine non mi parli in inglese? No, doveva farci sentire con quale splendido accento pronunciava la parola
diffisssiiile. Ma questa è la cosa peggiore che ci è capitata e mi rendo conto di star lamentandomi del superfluo. Cercate di capirmi, però: avevo un fidanzato urlante sulla barella, tre tizi che parlavano in svedese e che non riuscivo a capire e l'unica persona con cui potevo comunicare rispondeva ad ogni mia domanda (in inglese!) scuotendo la testa perché non le veniva la giusta parola italiana per rispondermi. Aggiungete al tutto il fatto che non avevo chiuso occhio, che ero angosciata e preoccupata e che il mio vocabolario di inglese stava preoccupantemente virando sul "the cat is on the table" per la disperazione, e capirete perché quella poverina è stata il mio capro espiatorio.
Alle 4.20 al mio fidanzato avevano fatto tutte le analisi del caso. Ci hanno messi ad aspettare il medico in una specie di grande corridoio, circondati da una tendina.
Alle 4.45 sono andata a protestare perché il medico non era ancora arrivato. Col senno di poi mi rendo conto che 20 minuti di attesa non sono molti, ma quando la persona che ami sta vivendo l'esperienza più dolorosa della sua vita i minuti sembrano dilatarsi. L'infermiera mi ha risposto che stavano ancora cercando un interprete (qui, davvero, mi sono cadute le braccia), perché la ragazza di cui sopra non si sentiva abbastanza preparata.
Ma va? Ho fatto notare anche a quest'altra signora che potevamo tranquillamente farci capire in inglese, che il mio fidanzato stava urlando di dolore e non riusciva più a sopportarlo, e lei ha fatto il miracolo: ha recuperato la cartella del mio fidanzato (45 minuti in ospedale e già era schedato) e l'ha messo come visita successiva. Poi ci ha portati personalmente in una camera singola e ci ha detto che il medico sarebbe arrivato a momenti.
Alle 4.50 è arrivato il medico.
Alle 5.00 la visita è finita. Di nuovo, col senno di poi mi rendo conto di aver fatto due colossali cazzate: ho chiesto qualcosa per il dolore in attesa del medico (cosa assurda: se elimini il sintomo, come può un medico fare la diagnosi?) e mi sono presentata in ospedale con una diagnosi bell'e pronta, aspettandomi di essere creduta sulla parola. Certo, avevo ragione, il mio ragazzo sapeva bene cosa gli stava succedendo e volendo avremmo potuto anche suggerire con quali medicinali curarlo (ops... mi sa che l'abbiamo fatto!), ma un medico non può basarsi sulla diagnosi fatta dal paziente. Non in Svezia, almeno. In Italia funziona così, ma questa è un'altra storia.
Alle 5.10 il mio ragazzo era stato curato
con la morfina.
Alle 5.20 la più dolorosa esperienza della sua vita era conclusa e finalmente lui ha potuto dormire un po'.
Lui.
Alle 7.00 è entrata un'infermiera in camera. Dal momento che sono abituata a ben altro trattamento, sono rimasta a bocca aperta quando si è presentata, ci ha chiesto se avevamo bisogno di qualcosa, se poteva esserci di aiuto e poi si è scusata perché avrebbe dovuto disturbarci per pulire la stanza. Farei una battuta sul fatto che pure in Italia gli infermieri si presentano prima di pulire la stanza, se solo avessi mai visto qualcuno pulire la mia stanza durante i miei fortunatamente brevi ricoveri. Anche qui, non è per fare polemica, è giusto per dire.
Alle 7.10 il medico è tornato a controllare le condizioni del mio fidanzato. Oltre a fargli passare il dolore, la medicina gli aveva anche risolto il problema (mi sa che la morfina risolve
un sacco di problemi), e quindi poteva essere dimesso.
Alle 7.20 è entrato un altro infermiere. Di nuovo, si è presentato, si è informato sulle condizioni del mio ragazzo, ci ha chiesto se poteva essere utile in qualche modo e poi, di sua spontanea volontà (mai ci saremmo sognati di lamentarci di quel medico!), è andato a sollecitarlo per le dimissioni. Tra l'altro, ci ha anche chiesto scusa, dicendoci che al momento era l'unico medico disponibile e che aveva un sacco di cose da fare, ma che comunque non era giusto che noi aspettassimo.
Alle 7.30 eravamo alla fermata del tram, diretti a casa.
Dopo qualche giorno, quando abbiamo potuto parlarne a mente lucida, io e il mio ragazzo abbiamo realizzato quanto è stato fortunato. Quando gli succede in Italia, 9 volte su 10 non lo ricoverano nemmeno. Gli dicono che deve
avere pazienza. Quando torna, dopo un paio di settimane, per dire al suo medico che il problema non è passato, solo allora iniziano a prenderlo in considerazione. E comunque lo ricoverano per tenerlo sotto controllo, ma non sempre gli somministrano medicine. In tutta la sua vita, gli era successo una sola volta di avere un episodio così doloroso e in quel caso, curato con medicine evidentemente inadeguate, il problema si è risolto in 3
giorni. Io credo davvero che tutte le persone che si lamentano della sanità svedese abbiano avuto esperienze negative. Perché mai dovrebbero lamentarsi, altrimenti? Per noi, fortunatamente, tutto ha funzionato a meraviglia. I tempi sono stati brevi, il medico è stato molto gentile e ha dimostrato una competenza sulle malattie rare che pochi medici italiani hanno, il personale è stato davvero molto comprensivo e disponibile (sì, pure la scema che provava a parlare italiano), la cura è stata tempestiva ed efficace. Tutte cose che qui in Italia ci saranno, di sicuro, ma che noi non abbiamo mai avuto la fortuna di trovare.